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3 weeks ago
All’ospedale Da Campo C’è Gran Da Fare. Puzza, Come Sempre, Di Creolina, Di Pus E Di Sudore. La Vita Di Baraccamento Abitua A Tante Cose, Ma Qui È Facile Che Uno Si Senta Venire Meno. Cerchiamo Di Rintracciare Kemmerich; È Coricato In Una Sala E Ci Riceve Con Una Fioca Espressione Di Gioia E Di Impotente Agitazione. Mentre Era Svenuto, Gli Hanno Rubato L’orologio.
Müller Scuote La Testa: “te L’ho Sempre Detto, Un Orologio Di Quel Valore Non Si Porta Addosso.” Müller È Un Po’ Balordo, E Vuol Sempre Avere Ragione. Altrimenti Starebbe Zitto, Perché Si Vede Bene Che Kemmerich Non Uscirà Più Vivo Da Questa Sala. E Dunque, Che Trovi O No Il Suo Orologio, Che Cosa Importa? Tutt’al Più Si Potrà Mandarlo, Dopo, Alla Famiglia.
“come Va, Cecco?” Domanda Kropp. Kemmerich Reclina Il Capo: “così Così, Mi Duole Maledettamente Il Piede. Guardiamo La Sua Coperta. Ha La Gamba Sotto Un Archetto Di Ferro, E Sopra Si Stende Greve La Coltre. Do Una Pedata Di Nascosto A Müller, Perché Sarebbe Capace Di Dire A Kemmerich Ciò Che Gli Infermieri Fuori Ci Hanno Raccontato: Che Il Piede Non C’è Più, Perché La Gamba È Amputata.
Ha Un Brutto Aspetto, Giallo E Livido; Sul Viso Si Profilano Già Le Strane Linee Che Conosciamo Tanto Bene Per Averle Osservate Centinaia Di Volte. Non Sono Nemmeno Linee, Ma Piuttosto Segni. Sotto La Pelle, La Vita Non Pulsa Più, Respinta Fino Ai Margini Del Corpo; La Morte Si Fa Strada Dall’interno, E Domina Già Gli Occhi. […] Non Posso Guardare Le Sue Mani, Sembrano Di Cera. Sotto Le Unghie Lo Sporco Della Trincea Prende Una Tinta Nero-bluastra, Come Un Veleno. Mi Viene In Mente Che Queste Unghie Continueranno A Crescere Come Spettrali Fungosità Sotterranee, Un Pezzo Ancora Dopo Che Kemmerich Avrà Cessato Di Respirare. Vedo La Cosa Come Se L’avessi Davanti Agli Occhi; Le Unghie Si Torcono A Guisa Di Cavaturaccioli, E Crescono E Crescono, E Con Esse I Capelli Del Cranio Putrefatto, Come L’erba Su Buona Terra; Chi Sa Come …
Müller Si China: “ti Abbiamo Portato La Tua Roba, Cecco.” Kemmerich Fa Un Cenno Con La Mano: “mettetela Sotto Il Letto.” Müller Esegue; Kemmerich Riattacca Con L’orologio; Come Rassicurarlo Senza Metterlo In Sospetto? Müller Ripesca Da Sotto Il Letto Un Paio Di Stivali Da Aviatore: Magnifiche Calzature Inglesi, Di Fine Cuoio, Che Giungono Fino Al Ginocchio E Vi Si Allacciano; Un Oggetto Molto Ambito. Müller Si Entusiasma A Vederli, Li Confronta Coi Propri Scarponi, Così Grossi E Goffi, E Domanda: “vuoi Portarli Con Te, Cecco?”
Tutt’e Tre Abbiamo Lo Stesso Pensiero: Anche Se Guarisse Non Potrebbe Adoperarne Che Uno, Quindi Non Hanno Per Lui Alcun Valore. Nella Condizione In Cui Si Trova, È Un Gran Peccato Lasciarli Qui: Lui Morto, I Soldati Di Sanità Li Faranno Naturalmente Subito Passare In Cavalleria. E Müller Torna Alla Carica: “non Vuoi Lasciarli Qui?” Kemmerich Non Vuole: Sono La Sua Cosa Migliore. “si Potrebbe Fare Un Cambio” Insiste Müller: “qui Fuori Questa Roba Serve.” Ma Kemmerich Non Si Lascia Smuovere. Io Schiaccio Un Piede A Müller, Che Esitante Ripone I Bei Stivali Sotto Il Letto.
Parliamo Ancora Un Poco E Poi Lo Salutiamo: “in Gamba, Cecco.” Gli Prometto Di Ritornare L’indomani; Anche Müller Parla Di Tornare; Pensa Agli Stivali E Vuole Montarci La Guardia.
[…]müller Mi Attacca Un Altro Bottone Con Quei Benedetti Stivali: “mi Andrebbero A Pennello. Con Queste Barche Che Porto Ai Piedi, A Ogni Marcia Sono Vesciche. Credi Che La Duri Fino A Domani, All’ora Della Libera Uscita? Se Muore Nella Notte, I Suoi Stivali Li Vediamo Col Binocolo.” […] Ritorniamo Alle Baracche. Penso Alla Lettera Che Dovrò Scrivere Domani Alla Madre Di Kemmerich. Ho Freddo, Vorrei Bere Un Cicchetto. Müller Strappa Fili D’erba E Li Mastica. A Un Tratto, Il Piccolo Kropp Getta Via La Sigaretta, Vi Pesta Su I Piedi Furiosamente, Gira Intorno Gli Occhi Stralunati, Il Viso Sfatto, E Mugola: “che Schifo! Che Porco Maledetto Schifo!”
Noi Seguitiamo A Camminare A Lungo In Silenzio. Kropp Si È Calmato: Sappiamo Bene Di Cosa Si Tratta: È La Rabbia Della Trincea: Ognuno Ci Casca, Almeno Una Volta. Müller Gli Domanda: “kantorek Che Cosa Ti Ha Scritto?” Egli Ride: “che Noi Siamo La Gioventù Di Ferro.” Ridiamo Tutti E Tre, Amaramente, Kropp Impreca, Lieto Di Potersi Sfogare. Già, La Pensano Così; Così La Pensano I Centomila Kantorek! Gioventù Di Ferro. Gioventù! Nessuno Di Noi Ha Più Di Vent’anni. Ma Giovani? La Nostra Gioventù Se N’è Andata Da Un Pezzo. Noi Siamo Gente Vecchia. Pp. 15-19
Ma Dalla Terra E Dall’aria Fluiscono Pure In Noi Forze Di Difesa; Soprattutto Dalla Terra. A Nessuno La Terra È Amica Quanto Al Fante. Quando Egli Vi Si Aggrappa, Lungamente, Violentemente; Quando Col Volto E Con Le Membra In Lei Si Affonda Nell’angoscia Mortale Del Fuoco, Allora Essa È Il Suo Unico Amico, Gli È Fratello, Gli È Madre; Nel Silenzio Di Lei Egli Soffoca Il Suo Terrore E I Suoi Gridi, Nel Suo Rifugio Protettore Essa Lo Accoglie, Poi Lo Lascia Andare, Perché Viva E Corra Per Altri Dieci Secondi, E Poi Lo Abbraccia Di Nuovo, E Spesso Per Sempre. Terra, Terra, Terra.
Terra, Con Le Tue Pieghe, Con Le Tue Buche, Coi Tuoi Avvallamenti In Cui Ci Si Può Gettare, Sprofondare. Terra, Nello Spasimo Dell’orrore, Tra Gli Spettri Dell’annientamento, Nell’urlo Mortale Delle Esplosioni, Tu Ci Hai Dato L’enorme Risucchio Della Vita Riconquistata! La Corrente Della Vita, Quasi Distrutta, Rifluì Per Te Nelle Nostre Mani, Così Che Salvati In Te Ci Seppellimmo, E Nella Muta Ansia Del Momento Superato Mordemmo In Te La Nostra Gioia!
Di Colpo, Al Primo Tuonare Di Una Granata, Torniamo Con Una Parte Di Noi Stessi Indietro Di Migliaia D’anni. È Un Intuito Puramente Animale Quello Che In Noi Si Ridesta, Che Ci Guida E Ci Protegge.
Incosciente, Ma Assai Più Rapido, Più Sicuro, Più Infallibile Che Non La Coscienza. Non Si Può Spiegare; Si Va Senza Pensare A Nulla, Ed Ecco Che Ad Un Tratto Ci Si Trova In Un Avvallamento Del Terreno, Mentre Sopra Noi Volano Schegge Di Granata, Ma Non Ci Si Ricorda Di Aver Sentito Venire Il Colpo Né Di Aver Pensato A Coricarci. Se Ci Si Fosse Lasciati Guidare Dal Ragionamento, Si Sarebbe A Quest’ora Un Carname Sparpagliato: È Stato L’altro Che Oscuramente Vigile In Noi Ci Ha Buttati A Terra E Salvati, Senza Che Noi Si Sappia Come. Se Questo Altro Non Fosse, Da Un Pezzo, Fra Le Fiandre Ed I Vosgi, Non Vi Sarebbero Più Creature Viventi. Noi Partiamo Soldati Allegri O Brontoloni; Quando Giungiamo Alla Zona Del Fuoco Siamo Divenuti Una Razza Belluina.
E Il Silenzio Fa Sì Che Le Immagini Del Passato Non Suscitino Desideri Ma Tristezza, Una Enorme Sconsolata Malinconia. Quelle Cose Care Furono, Ma Non Torneranno Mai Più. Sono Passate, Sono Un Mondo Diverso, Perduto Per Sempre.
Ma Qui In Trincea Quel Mondo Si È Perduto. Il Ricordo Non Sorge Più; Noi Siamo Morti, Ed Esso Ci Appare Lontano All’orizzonte Come Un Fantasma, Come Un Enigmatico Riflesso, Che Ci Tormenta E Che Temiamo E Che Amiamo Senza Speranza.
Non Saremo Mai Più Legati Al Nostro Dolce Paese, Come Fummo Un Tempo. Non Era Già La Conoscenza Della Sua Bellezza Né Del Suo Carattere Quella Che Ci Attirava, Ma Un Senso Di Comunanza, Questa Fraternità Nostra Con Le Cose E Con Gli Eventi Della Nostra Vita, Che Ci Separava Dal Resto E Ci Rendeva Un Poco Incomprensibile Anche Il Mondo Dei Nostri Genitori: Perché, Non So Come, Eravamo Sempre Teneramente Abbandonati, Perduti In Quell’amore, E La Più Piccola Cosa Ci Conduceva Sempre Sul Sentiero Dell’infinito. Era, Forse, Il Privilegio Della Nostra Giovinezza? Noi Non Vedevamo Limiti, Il Mondo Intorno A Noi Non Aveva Fine, E Nel Sangue Palpitava L’attesa, Che Ci Faceva Una Cosa Sola Con Lo Scorrere Dei Nostri Giorni.
Oggi Nella Patria Della Nostra Giovinezza Noi Si Camminerebbe Come Viaggiatori Di Passaggio: Gli Eventi Ci Hanno Consumati; Siamo Divenuti Accorti Come Mercanti, Brutali Come Macellai. Non Siamo Più Spensierati, Ma Atrocemente Indifferenti. Sapremmo Forse Vivere, Nella Dolce Terra: Ma Quale Vita? Abbandonati Come Fanciulli, Disillusi Come Vecchi, Siamo Rozzi, Tristi, Superficiali. Io Penso Che Siamo Perduti.
P. 100-101 Me Ne Sto Curvo In Una Grande Buca, Con Le Gambe Nell’acqua Fino Alla Vita. Se L’attacco Si Sferra, Mi Immergerò Nell’acqua Quanto Più Posso Senza Affogare, Con La Faccia Nella Mota, Facendo Il Morto.
D’un Tratto Sento Che Il Fuoco Arretra. Subito Mi Lascio Scivolare Giù Nell’acqua, L’elmo Sulla Nuca, La Bocca A Fior D’acqua, Tanto Appena Da Respirare. E Resto Immobile – Giacché Poco Distante Sento Pedate E Rumor D’armi – I Nervi Mi Si Contraggono Agghiacciati. Il Rumore Mi Oltrepassa. La Prima Ondata È Passata. Ho Avuto Un Solo Pensiero, Imperioso: Che Fare, Se Qualcuno Salta Nella Buca? Strappo Fuori Il Pugnale, Lo Impugno Forte, Lo Nascondo, Con Tutta La Mano, Nella Mota. Colpire Subito, Se Qualcuno Salta Dentro; Questo Mi Martella In Fronte; Colpire Alla Gola, Perché Non Possa Gridare; Non C’è Altro Scampo; Sarà Spaventato Al Pari Di Me, Il Terrore Ci Getterà L’uno Contro L’altro, E Allora Devo Essere Io Il Primo.
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